carrabino_1Il secondo incontro regalatoci dal nostro amico Giuseppe Carrabino, che ormai da qualche lustro assicura la sua collaborazione alla nostra associazione, si è tenuto lo scorso Giovedì 23 Marzo ed ha avuto come tema “Chiesa e Società in Augusta dai Borbone al Rivolgimento piemontese”. Una relazione ricca di particolari, notizie inedite attinte a documenti archivistici e rare immagini della preziosa collezione Ronsisvalle. 

Il relatore ha introdotto il suo intervento con una chiara e incisiva citazione di Andrea Camilleri “quando fu fatta l'Unità d'Italia noi in Sicilia avevamo 8.000 telai, producevamo stoffa. Nel giro di due anni non avevamo più un telaio. Funzionavano solo quelli di Biella. E noi importavamo la stoffa. E ancora oggi è cosi”.

Avendoci regalato il testo del suo intervento lo pubblichiamo nel nostro sito per rendere un utile servizio ai soci e ai tanti cittadini che seguono questo strumento sia dalla nostra città che dai vari luoghi di residenza ivi comprese le comunità augustane delle lontane Americhe.

INTRODUZIONE

Borboni_2017_01locandina_23_marzo_2017_carrabinoLa dominazione Borbonica in Sicilia iniziò nel 1734 con la conquista di Carlo di Borbone, chiamato anche Carlo III Re di Spagna e di Napoli Un sovrano riconosciuto sapiente tanto da procurarsi la stima del suo popolo.

Negli anni, i privilegi delle classi nobiliari e del Parlamento diminuirono notevolmente e, per ovvi motivi, questo non fu visto di buon occhio dai Siciliani. Essi videro ristretta la propria libertà, così si creò un unione fra la classe nobiliare ed il popolo, entrambi scontenti delle riforme Borboniche.

Durante la dominazione Borbonica in Sicilia, al di fuori delle mura dell’Isola, brulicava la Rivoluzione Francese.

Nel resto dell’Isola i principi di uguaglianza, fratellanza e libertà si svilupparono ben poco, probabilmente perché il ceto intellettuale era più favorevole verso la cultura Inglese che quella Francese.
Nel 1798 il re Ferdinando III di Sicilia abbandonò Napoli a causa dell’avanzata Napoleonica e si rifugiò a Palermo, dove venne accolto con piacere dalla popolazione.

In questa occasione promise al popolo Siciliano di mantenere la Corte a Palermo, ma disattese tutte le aspettative dei Siciliani.

Nel 1806 il Re e la sua Corte si trovarono costretti a rifugiarsi di nuovo a Palermo, sempre a causa dell’invasione dei Francesi.

Nel frattempo i Borboni persero il regno di Napoli, ad aspettarli in Sicilia c’era un popolo che protestava. I Siciliani chiesero al Re una Costituzione in un rinnovato Parlamento tutto loro.

Il Re, sotto consiglio e tutela degli Inglesi, dovette accettare.

Nel 1815 con il Congresso di Vienna, conferenza in cui si ristabilirono le varie Monarchie in Europa dopo la Rivoluzione Francese e le Guerre Napoleoniche, il Regno di Napoli tornò ai Borboni.
Il Re unificò il Regno di Sicilia con quello Napoletano e nacque così il Regno delle Due Sicilie e prese il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie.

La capitale del nuovo regno era Napoli.

Nel 1830 con l’ascesa al trono di Ferdinando II inizia nel Regno delle Due Sicilie un periodo di sviluppo economico senza precedenti.

Borboni_2017_02Il 15 Marzo 1838 il Sovrano giunge ad Augusta a bordo del vapore “Ferdinando I”. In questa occasione, il porto di Augusta che era il più grande scalo marittimo della provincia, con 30 costruttori di barche, 150 padroni marittimi e 1600 marinai venne elevato a dogana di prima classe. Il porto, che grazie anche al braccio di molo progettato e costruito dal concittadino Carmine Lanzerotti, venne abilitato all’approdo di bastimenti nazionali ed esteri per l’importo-export di qualsiasi tipo di merce.

Analogamente, quale segno di attenzione verso la città, il Re costituì a due ragazze la dote necessaria per essere accettate come novizie nel monastero di Caterina.

La sera dell’11 Gennaio1848 un violento terremoto scosse Augusta. Case distrutte, chiese lesionate, conventi inagibili con un bollettino di 26 morti e 42 feriti ed una spesa complessiva di 390 onze per gli urgenti interventi di demolizione degli edifici cadenti. La statua di S.Domenico cadde dal piedistallo del Duomo rompendosi al centro della piazza.

A distanza di un giorno, il 12 gennaio un altro genere di terremoto ebbe i suoi effetti anche in Augusta. Un terremoto di natura politica quale l’insurrezione antiborbonica che ebbe inizio a Palermo. Una rivoluzione che com’è noto durò 15 mesi. L’8 Aprile 1849 Augusta tornò sotto il potere del Borbone.

Sempre a Palermo, nel 1854, nacque il primo piroscafo a vapore chiamato “Sicilia”.

Fu la prima nave Italiana a collegare Palermo con le terre Americane specificatamente con New York. Una rotta che i nostri concittadini impareranno a conoscere nei decenni successivi perché è proprio in quel periodo che avrà inizio quell’ondata di emigrazione che porterà tanti augustani a Boston, Detroit, New York, S.Francisco, S.Diego nell’America del Nord e in molti Stati del Sud America in Argentina a Buenos Aires o in Venezuela a Cumanà dove la pesca, fino a poco tempo addietro, parlava “augustanese”.

Dopo questo breve excursus storico vediamo di analizzare e illustrare più specificatamente la situazione di Augusta nei due secoli, dall’inizio della dominazione borbonica nel 1734 al cosiddetto rivolgimento piemontese.

Borboni_2017_03Il 700’ fu per Augusta un periodo di profondo rinnovamento con numerosi cantieri che segnavano la ricostruzione a seguito di quel violento sisma del 9 e 11 Gennaio 1693 che tanto lutto e distruzione aveva arrecato alla città.

Erano gli anni in cui rinasceva il palazzo civico e già nel 1730 tutto il piano superiore era stato destinato a teatro comunale, poi trasformato negli anni trenta del novecento in uffici e in questo magnifico e solenne salone di rappresentanza.

Era il periodo in cui una dopo l’altra risorgevano quelle chiese che rappresentavano centri di radicata devozione del popolo. La Chiesa Madre era un cantiere ben avviato concluso solamente nel 1769 per il decisivo intervento del dotto Arciprete Mario Moreno. Le chiese degli Ordini monastici erano ormai ricostruite e aperte al culto: S.Domenico, il Carmine, S.Francesco dei padri Cappuccini, la Madonna della Grazia, San Francesco di Paola, S.Caterina d’Alessandria. Ricostruite tutte le chiese confraternali, gli Oratori, le cappelle rurali e le chiese eremitiche.

Risorto il complesso dell’Ordine Melitense. Risorti i palazzi nobiliari degli Omodei , del barone d’Astorga, dei Martelli, Zuppello e Tumscitz.

Le saline continuavano a produrre sale pregiato, considerato dal governo borbonico “l’oro del regno”, basti pensare che la sola Augusta produceva ben 14 milioni di chili di ottimo sale esportato in varie nazioni europee.

Nel conteBorboni_2017_04mpo, non avendo l’acqua potabile a casa, le donne andavano a prelevarla con le quartare nelle cillitte sparse agli incroci delle strade, a lavare i panni e a stenderli sull’erba delle marine di levante e ponente.

Borboni_2017_05Nel 1777 veniva concessa alla città la dignità Senatoria. Un Senato costituito da sei nobili uno con la carica di Sindaco, quattro giurati e un maestro notaio che nelle cerimonie ufficiali era preceduto dal Capitano di giustizia con sei alabardieri, due vice capitani, un algori zio con la verga alzata e in ultimo il governatore della piazza che era un ufficiale generale.

Erano gli anni in cui si ristabiliva l’organizzazione sociale e ecclesiale anche con il capillare ruolo dei ceti e delle corporazioni di arti e mestieri.

Risale a questo periodo la pratica di affidamento dei quartieri ad un Santo protettore con un referendum popolare. 

Così nel 1735 fu eletto S.Giuseppe nel 1737 S. Vincenzo Ferreri, nel 1740 S.Francesco di Paola e la Madonna della Grazia, nel 1743 la Madonna della Lettera.

Nel 1738, nella fausta ricorrenza delle nozze di Carlo di Borbone con la principessa Maria Amalia Walburga, Augusta celebrò con particolare solennità l’avvenimento con una straordinaria festa in onore del Patrono S.Domenico con apparati scenografici, corse di cavalli, fuochi e con l’ostentazione di componimenti in versi atti ad esaltare le virtù morali e politiche del Sovrano.

Di particolare effetto la comparsa della galea o carro trionfale con i segni celesti dello zodiaco. Un grande carro allegorico a sfondo religioso in cui si manifestava la grandezza dello Stato e della Chiesa. Una grande nave Vangelica con S.Pietro che impugnava il timone come primate della chiesa di Roma e a poppa la figura di Carlo III di Borbone la cui presenza serviva a ricordare al popolo che il sovrano era l’alto difensore della fede cattolica.

Abbiamo una preziosa testimonianza di quelle celebrazioni, custodita manoscritta presso l’Archivio Blasco della nostra Biblioteca Comunale e che abbiamo pubblicato nel maggio 2014 come Commissione Comunale di Storia Patria inaugurando la nuova collana Claradea – I Classici Augustani.

Il manoscritto, al di là della cronaca dei festeggiamenti, ci offre numerosi spunti di riflessioni relativamente al tema che stiamo affrontando sul periodo dei Borbone tra il XVIII e il XIX secolo.

In effetti questa preziosa testimonianza, opera di un anonimo schiavo sviscerato del Santo, presenta una organizzazione della comunità locale suddivisa in ceti sulla base delle relative classi o arti lavorative. Emerge il ruolo dei Giurati (potere politico) che delega a Quattro Deputati (loro rappresentanti) il compito di gestire la festa. In effetti siamo dinanzi al ruolo dello Stato che controlla i riti civili che erano e sono tutt’oggi parte integrante della festa religiosa. Una separazione dei ruoli tra Stato e Chiesa che non impediva affatto il dialogo tra le due istituzioni ma che anzi avevano e hanno il dovere di compartecipare alla realizzazione di un rito che è espressione identitaria della comunità.

In questo contesto ci viene presentata con minuziosità di particolari quella secolare organizzazione che era costituita dalle Corporazioni di arti e mestieri, i consolati espressione anche delle Confraternite religiose che ebbero ampia diffusione a partire dal XVI secolo.

Accennare a mastri d’ascia, naviganti, salinari, contadini, giardinieri, pescatori, sardari, carrettieri, carcarari, molinari, ferrari, massari, ortolani, beccai equivale a parlare di quei consolati che avevano una tradizione secolare nell’ordinamento giuridico dello Stato e quindi anche in Augusta.

Consolati con corrispettivi di categorie di arti e mestieri nelle Confraternite dotati di Statuti e Regolamenti che prevedevano specifiche modalità elettive, forme di partecipazione alla vita della comunità, diritti e doveri, oltre alle pratiche di culto interne ed esterne.  

L’avvento dei Borbone influisce fortemente in questo tipo di organizzazione, basti pensare che proprio in questo periodo nasce il primo sistema pensionistico in Italia. Da ricordare lo Statuto della seteria di S.Leucio, dettato personalmente da Ferdinando I, rifinito dai suoi giuristi nel 1789, che risentiva fortemente delle idee illuministe e che fu magnificato in tutta Europa. Lo statuto prevedeva, con decenni di anticipo sulle prime normative inglesi del lavoro, diritti e servizi per ogni membro della comunità: casa, attrezzi di lavoro, assistenza medica, istruzione obbligatoria per tutti i bambini dopo i 6 anni, pensione di invalidità e di vecchiaia, mezzi di sussistenza per la vedova e gli orfani dei lavoratori.

Il 20 Aprile 1808 Ferdinando III dalla residenza di Palermo su istanza del clero di Augusta concesse l’istituzione della Collegiata nella Chiesa Madre. Pur tuttavia il Sovrano invitò il Vescovo ad erigere piuttosto un’altra parrocchia in città per lo spirituale vantaggio della popolazione anziché fondare la Collegiata che si sarebbe ridotta ad un ecclesiastico lusso.

Con il Concordato del 25 febbraio 1818, scomparve nelle Due Sicilie qualsiasi forma di immunità ecclesiale, furono ridotte le diocesi del Regno e solo 22 di esse erano direttamente soggette alla Santa Sede, nelle altre si affermò il diritto reale di nominare i vescovi.

La religiosità del popolo rimase fortissima e scandiva la vita quotidiana del Regno (con le relative funzioni, la recita del rosario, le processioni come quella solenne dell’otto dicembre, festa Nazionale, la tradizione natalizia del presepe). Alcuni viaggiatori stranieri, di religione protestante, affermavano che si trattasse una "cristianità senza Cristo" perché tutti si affidavano ad un santo per intercedere presso Dio.

Risale al 1835 l’avvio di una indagine promossa in tutte le Intendenze delle Valli (le Provincie) per la creazione di una “Statistica delle abitudini economiche e morali” in tutti i Comuni del Regno.

Il modello contenente le modalità per la corretta compilazione fu trasmesso a tutti i Sindaci. Un apporto significativo fu dato dall’Arciprete Giuseppe D’Angelo e dal parroco di S.Sebastiano Sebastiano Pignato specie per le tradizioni religiose che scandivano l’anno liturgico e dal primo eletto Dr. Luca Iraso delegato dal Sindaco per gli aspetti civici.

LE CONFRATERNITE

Un ruolo non indifferente hanno avuto le Confraternite religiose nel periodo borbonico.

Con il Concordato del 1741 tra Santa Sede e Regno delle due Sicilie, si delineò una netta distinzione tra opere pie e fondazioni di culto, sottraendo le prime alla giurisdizione ecclesiastica, e sottoponendole alla protezione regia; si stabilirono per ogni “luogo pio” criteri di dipendenza giuridica: quelli immediatamente soggetti al re o ai principi non potevano subire alcuna giurisdizione episcopale, come invece accadeva a quelli amministrati dal clero. Fu anche limitato il diritto di visita dell’ordinario sulle confraternite, si stabiliva inoltre che un tribunale misto, da erigersi a Napoli, doveva vigilare, soprintendere sul rendimento dei conti e sorvegliare sugli obblighi di ciascuna confraternita.

Borboni_2017_07I Borboni regolamentarono la vita e le attività delle confraternite nel 1781 con un regio decreto che disponeva che i rispettivi statuti fossero sottoposti all’approvazione regia, nel 1818 con un Concordato con la Santa Sede, nel 1820 con le “Istruzioni”, e nel 1842 decretando che ciascuna confraternita dovesse avere tra le finalità l’adempimento di opere di carità, quali la visita agli infermi o ai carcerati ed il soccorso ai poveri. Tuttavia sono il Concordato del 1818 e le Istruzioni del 1820 ad assumere maggiore importanza per la vita delle confraternite del XIX secolo, in quanto mettono alla base del sistema di beneficenza un vero e proprio organismo centrale, il Consiglio Generale degli Ospizi. Tale organismo dipendeva dal Ministero degli Interni ed era composto dall’Intendente che svolgeva funzione di presidente, dall’Ordinario della diocesi, da tre Consiglieri nominati dal Re e da un segretario. Scomparve la distinzione tra luoghi pii amministrati da laici o da ecclesiastici e tutte queste fondazioni passarono, a partire dal 1820, sotto il controllo dello stato tramite il Consiglio, come accadde a molte confraternite che, per le loro peculiari finalità sociali, venivano considerate “opere pie laicali”.

Molte confraternite difesero gelosamente il loro carattere laicale e si rifiutarono di pagare le decime a favore del Papa, in quanto enti non ecclesiastici. Il governo a sua volta escluse il clero dagli uffici pubblici, proibì che i sacerdoti si iscrivessero alle confraternite, a meno che non si limitassero ad usufruire solo dei benefici spirituali, e prescrisse che non potessero partecipare alle elezioni e fossero privi di voce attiva e passiva.

Confraternite, compagnie e pie unioni ad Augusta

Le attività e gli scopi perseguiti dalle confraternite augustane, come del resto quelle siciliane, non presentano particolari peculiarità. In Augusta operavano confraternite dedicate al culto eucaristico, alla devozione mariana ed ai vari santi. Tutti i sodalizi prestavano particolare attenzione all’incremento del pubblico culto, mediante l’animazione delle funzioni religiose, la partecipazione solenne alle processioni, l’impegno nelle sacre rappresentazioni della Settimana Santa. Accanto alle finalità devozionali, troviamo le attività caritative, educative e sociali, come l’assistenza ai confrati moribondi, le esequie, la prima sepoltura nel putridarium e la definitiva collocazione nel sepolcreto confraternale, i suffragi ed ancora il maritaggio per le fanciulle povere, il soccorso ai carcerati e l’assistenza ai condannati a morte.

Gli iscritti al sodalizio indossavano un abito processionale composto da sacco, mozzetta, visiera e torcia, la cui foggia, certamente di origine spagnola, è simile nelle linee generali in tutti i paesi della Sicilia (ad Augusta differisce per la visiera che in cima è bassa e pieghettata come la cresta di un gallo, motivo per cui viene detta cicca, mentre il resto del copricapo scende sulle spalle come una manica). Gli appartenenti alle varie confraternite si distinguevano così soltanto dal colore della mantellina.

Stato delle Confraternite, Arciconfraternite, Corporazioni e Congregazioni

esistenti nella Valle di Siracusa

all’Epoca della legge del 28 Settembre 1822 con le variazioni avvenute sino al 31 maggio 1824

  1. Confraternita di S. Sebastiano, Pescatori e Agricoltori, 49
  2. Confraternita dei SS. Pietro e Paolo, Agricoltori, 36
  3. Confraternita di Maria SS. Immacolata, Sacerdoti, Nobili e Civili 96
  4. Confraternita del SS. Sacramento, Coloni e Agricoltori, 54
  5. Confraternita di S. Giuseppe, Artisti diversi, 153
  6. Confraternita di Gesù e Maria, Ceti diversi, 438
  7. Confraternita di S. Lorenzo, Facchini, 53
  8. Confraternita di S. Biagio, Agricoltori, 21
  9. Confraternita di Maria SS. Addolorata, Sacerdoti e Civili, 103
  10. Confraternita di Maria SS. Odigitria, Agricoltori, 90
  11. Confraternita di S. Andrea, Pescatori di acciughe, 42
  12. Confraternita di S. Antonio da Padova, Diversi ceti, 92
  13. Arciconfraternita dei Bianchi, Nobile, 53
  14. Confraternita di Maria SS. Annunziata, Marinai delle barche di commercio
  15. Confraternita di Maria SS. del Soccorso, macellai

Dal Bilancio Comunale del 1816 si rileva inoltre una particolare attenzione del governo locale a talune attività di culto confraternali particolarmente sentite dal popolo o che esprimevano il disagio del popolo.

L’aspetto più interessante, sia dal punto di vista ecclesiale ma soprattutto sociale, sono alcuni momenti festivi di chiara ispirazione mariana.

Le devozioni alla Madonna della Provvidenza, alla Madonna dei Poveri e alla Madonna del Soccorso che avevano sede in tre luoghi di culto che sorgevano nei quartieri più poveri della città.

Il tema della “Provvidenza” era quanto mai congeniale con le necessità terrene e le condizioni sociali del popolo di Augusta che ha sperimentato nel corso dei secoli problemi di estremo disagio causati da svariate vicissitudini, non ultimi le guerre, saccheggi, invasioni, pestilenze e terremoti.

La dedicazione di un altare alla Vergine della Provvidenza nella chiesa di S.Eligio (S.Aloi) era stata determinata da specifiche scelte pastorali in quel quartiere, quello per intenderci che da S.Aloi si estendeva ai Forni che era sinonimo di povertà e la miseria.

Consultando lo Stato discusso per il 1817, ossia il bilancio del Comune di Augusta per l’amministrazione della città, si fa riferimento alle problematiche legate alla miseria degli abitanti del quartiere d’Assucussu (Soccorso) nell’ambito del territorio della parrocchia di S.Sebastiano. Gli abitanti …… recita il documento consiliare: “per la loro miseria non possono ogni Domenica andare ad ascoltare la spiega del Vangelo, e del Catechismo, e restano perciò assolutamente privi della necessaria cognizione dé doveri di Cattolici. A far dunque, che tutti i Concittadini siano bene istruiti né Misteri di n.ra Cattolica Religione, decreta il Consiglio, che il Senato implori da S. E. R.ma Monsignor Vescovo di Siracusa, che la Chiesa di S. Maria del Soccorso, unica Chiesa che vi è al confine di d.tta Parrocchia di S. Sebastiano, venga eretta in Chiesa Parrocchiale, al che d.tto degnissimo Prelato non saprà negarsi certamente, atteso che S.R.M., in occasione della erezione di questa Collegiata con Dispaccio al lodato Monsignor Vescovo diretto sotto li 12: Dicembre 1808: gl’insinuò stabilire piuttosto in q.a Città un'altra Parrocchia per lo spiritual vantaggio della Popolazione, che fondare la chiesta Colleggiata, la quale non si riduce, che ad un Ecclesiastico lusso”.

Appare chiara la necessità di affidare i disagiati alla provvidenza di Dio. Tutto ciò non deve sembrare fuori luogo, occorre calarsi nella mentalità del tempo dove tutto veniva risolto in chiave devozionale. L’affidarsi alla divinità da parte della città e degli amministratori del tempo era un fatto ordinario.

La documentazione consultata offre numerosi spunti di indagine e riflessione specie per il riferimento che “per essere sprovveduti di abiti” non si recavano alle funzioni religiose. Proprio degli abiti per la festa si è più volte descritto nella numerosa saggistica esistente su Augusta. Anticamente, le scarpe nuove venivano acquistate in occasione della Pasqua, mentre il vestito era confezionato per la festività patronale di S. Domenico. Ancora, durante il periodo della grande emigrazione, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, il vestito nuovo rappresentava un lusso per i nostri concittadini. Le relazioni ad limina (i rapporti quinquennali che gli ordinari diocesani del Nord America erano tenuti ad inviare alla Congregazione de Propaganda Fide e poi, dopo il 1908, alla Concistoriale) sottolineano spesso che persino gli emigranti di provata fede non prendevano parte alle funzioni o alle processioni, perché non volevano e non potevano spendere per un abito da festa.

Arte, Cultura e Scienza nel periodo dei Borbone in Augusta

Dal Settecento, sotto l’impulso dei sovrani regnanti, si assistette alla rinascita culturale e sociale delle Due Sicilie ed al rigoglioso fiorire di studi filosofici, giuridici e scientifici. Si registrano le presenze dei viaggiatori stranieri.

L'immagine primaria che scaturì da tali viaggi fu anzitutto la solarità dei luoghi e poi e grande fascino dell'arte e della tradizione.

Inglesi, tedeschi e francesi letteralmente presero d'assalto la Calabria e la Sicilia e, nonostante le difficili e spesso inesistenti vie di comunicazioni, compirono epiche visite e lasciarono ponderosi documenti di viaggio.

Per le belle arti ricordiamo l’interesse per l’archeologia con l’avvio degli Scavi di Ercolano e Pompei, iniziati nel 1738 per volere di Carlo III, dopo un ritrovamento durante i lavori di restauro di una cisterna di un casale. La scoperta di Ercolano e Pompei non si limitò a rivoluzionare l’archeologia e la storia del mondo antico, ma segnò in modo indelebile anche la civiltà europea.

Re Carlo III già nel 1755 aveva emanato un bando in cui si prescriveva la tutela del patrimonio artistico delle Due Sicilie che prevedeva anche pene detentive per chi esportava o vendeva materiale d’epoca; esso fu rinnovato nel 1766 da Ferdinando I.

Nel 1839 Ferdinando II nominava una "Commissione di Antichità e Belle Arti" per la tutela e la conservazione dei beni.

Opere d’arte nelle Chiese Confraternali

Anche Augusta risente di questo fermento culturale con interessanti progetti attuati dalle realtà confraternali sia dal punto di vista architettonico che artistico, un patrimonio materiale non indifferente che vale la pena illustrare nei suoi esempi più significativi.

Borboni_2017_08In primo luogo la chiesa a pianta circolare dedicata a Santa Maria del Soccorso comunemente intesa “la Rotonda” edificata per devozione della Confraternita dei macellai.

Borboni_2017_09La chiesa di S.Nicola, conosciuta in Augusta come chiesa delle Anime Sante, edificata dall’Arcicompagnia dei Bianchi a partire dal 1761.  

La chiesa di S.Giuseppe dei mastri d’ascia, con l’altare dedicato alla Madonna della Lettera e la pregevole pala d’altare dell’Adorazione dei Magi, copia settecentesca dell’originale del Rubens conservato al Museo delle Belle Arti di Lione. Il magnifico organo con i pannelli della cantoria dipinti con raffigurazioni del vecchio testamento, tutta l’argenteria a corredo del simulacro di S.Giuseppe e in particolare il bastone dono dei Gargallo di Castellentini con impresso il blasone di famiglia.

La chiesa dedicata a Maria SS. Annunziata con il portale del 1777, i confessionali del 1797, la campana datata 1800, dell’opificio Pietro Grimaldi di Catania, il calice e pregevole ostensorio con le tre virtù teologali ed altre opere che caratterizzano questo periodo di maggiore splendore.

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Non possiamo non ricordare l’oratorio dei Barbieri e Chirurghi eretto all’interno del Convento dei Carmelitani, con la pala d’altare dei SS. Titolari, fortunatamente recuperata dopo l’Unità d’Italia ed oggi esposta all’interno della chiesa del Carmine.

I pregevoli Troni per l’esposizione solenne dell’Eucarestia in legno con fini dorature frutto della maestria dei rinomati battiloro augustani. Ricordiamo che proprio nel XIX secolo Augusta vantava la presenza di ben quattro battiloro specializzati nel ridurre l’oro a foglia.

Le magnifiche opere di ebanisteria del maestro Salvatore Stagnaro, confrate di S.Giuseppe, autore dei confessionali, del pergamo e della sede presbiterale della chiesa Madre e del simulacro di S.Giuseppe custodito nella chiesa parrocchiale di Brucoli.

Gli argenti dell’Opera del SS. Viatico, quale il puntale del bastone priorale o il medaglione, del governatore della Confraternita del SS. Sacramento del ceto dei massari.

Un elenco questo che è semplicemente rappresentativo di una molteplicità di opere che caratterizzano quel periodo.

Nel concludere questo mio intervento vorrei proporre all’uditorio una pagina interessante di storia locale che mi piace offrirvi come motivo di riflessione.

Mesi orsono ho reso nota una mia indagine archivistica in merito ad un dipinto ottocentesco custodito nella cappella del Crocifisso della nostra chiesa Madre.

Trattasi di un quadrone che espleta il tema della Flagellazione di Cristo, opera questa da non ritener ersi tra le migliori custodite nel nostro Duomo. C’è un motivo che mi induce però a proporla come motivo di riflessione.

Borboni_2017_13Borboni_2017_14Trattasi di un dipinto firmato e datato: “Emanuello Infantino inv. e dip. l’anno 1845”. Un pittore che nonostante le pressanti indagini e i quesiti posti a tanti critici d’arte, non sono riuscito a identificare. Un nome che non è noto nemmeno a Luigi Sarullo che ha compilato un monumentale “Dizionario degli artisti siciliani” o che hanno operato in Sicilia. Eppure, rovistando tra le carte dell’Archivio della Curia Vicariale di Augusta ho rinvenuto un volumetto  manoscritto dal titolo “Numerazione dell’anime nell’anno 1846”. Si tratta di un registro dove sono annotati, in relazione alle strade di pertinenza della parrocchia, i diversi nuclei familiari nonché le comunità religiose maschili e femminili presenti in città. Nel corso principale, indicato come strada Ferdinandea, in omaggio al sovrano,  tra le primissime abitazioni dopo quella di Don Carmelo Muscatello e M° Francesco Pinto è indicato “Emmanuele Infantino di anni 40”. L’artista viveva da solo, come si evince dal citato documento. Per gli altri nuclei familiari censiti sono indicati anche eventuali servi e familiari. Sappiamo pertanto che il dipinto era stato realizzato nel 1845 e ancora l’anno seguente l’artista viveva in Augusta.

Ma, direte voi, perché soffermarsi su questo emerito sconosciuto ?

Potrebbe rappresentare una pagina di storia ancora da scrivere sul periodo borbonico in Augusta e soprattutto sui suoi oppositori. Chi era Emanuele Infantino ? Perché si trovava in Augusta ?

Tempo addietro ho rilevato come a Catania esistesse una via Emanuele Infantino nel quartiere San Leone (che si raggiunge in fondo alla lunghissima via Vittorio Emanuele lato ponente e le cui strade che si diramano da Corso Indipendenza sono intitolate a personaggi ed eroi del Risorgimento). Le ricerche mi hanno permesso di documentare che nel maggio del 1832, un tale Emanuele Infantino, repubblicano, di concerto con Matteo Consoli Susanna, aveva organizzato una congiura ritenuta legalitaria che, diligentemente montata, procurò ad entrambi l’ergastolo…..”. In occasione dei moti del 1848 pare sia stato liberato a furor di popolo unitamente ad altri rivoluzionari.

Ma, dopo questa notizia che merita certamente ulteriori approfondimenti, vorrei condurvi adesso alla consuione di questo mio intervento con il “rivolgimento piemontese”.

Con l’Unità d’Italia parte del prezioso patrimonio storico e artistico di cui abbiamo parlato,  frutto dei sacrifici di generazioni di augustani, è andato perduto.

La legge del 1866, eversiva dei beni ecclesiastici, determinò l’incameramento da parte dello Stato dei complessi conventuali che divennero patrimonio dello Stato:

  • La chiesa e il Convento dei PP. Domenicani (fondazione ante 1245),
  • La Chiesa e Convento dei PP. Carmelitani – Madonna del Carmine (1565),
  • La Chiesa e Convento dei PP. Cappuccini – S. Francesco e Madonna degli Angeli
  • La Chiesa e Convento dei PP. Minori Osservanti – S.Maria della Grazia (1640),
  • La Chiesa e Convento dei PP. Paolotti – S. Francesco di Paola,
  • La Chiesa e il Monastero delle monache di clausura di S.Benedetto – S. Caterina d’Alessandria.

Molte opere furono vendute.

  • Le chiese dei Cappuccini e di S. Caterina abbattute.
  • Case solerate, palazzate, orti, giardini, botteghe, terreni, mulini, messi all’incanto e svenduti.
  • Frati e suore cacciati. I conventi destinati a scuole e caserme.
  • Tutto il personale laico che operava al servizio dei conventi licenziato in tronco.

Concludendo questa sia pur approssimativa carrellata storica, non possiamo non ricordare come il Regno delle Due Sicilie ebbe un periodo di grande splendore coniando monete in oro e argento ma soprattutto con numerose industrie tessili e siderurgiche che garantivano occupazione.

Purtroppo, è innegabile che la storiografia ufficiale post risorgimentale abbia volutamente taciuto tutto questo.

Una verità scomoda che ha determinato, con l’Unità d’Italia, quel divario economico che ha portato il Sud a quel disastro che ancora oggi viviamo.

        Borboni_2017_20          Borboni_2017_21        Borboni_2017_22 

Giuseppe Carrabino. (vedi gli altri incontri con G. Carrabino)


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