monscostanzo_0Pubblichiamo la relazione integrale di Monsignor Salvatore Costanzo, Arcivescovo Emerito di Siracusa, esposta durante la quarta tavola rotonda organizzata dall'Unitre di Augusta, presso l'aula magna del 2° istituto A. Ruitz, dal tema ““La terza età rappresenta  il declino dell’Uomo?”.
In coda all'articolo il video di una parte dell'intervento di Monsignor Giuseppe Costanzo.

 

S. E. Rev.ma Mons. GIUSEPPE COSTANZO

Arcivescovo Emerito di Siracusa

monscostanzoMons. Giuseppe Costanzo è nato a Carruba di Riposto, diocesi di Acireale, il 2 gennaio 1933;

ordinato presbitero il 15 agosto 1955; professore di Esegesi e Lingue bibliche;

eletto alla Chiesa titolare di Mazaca e Vescovo Ausiliare di Acireale il 21 febbraio 1976;

già Rettore del Seminario di Acireale; ordinato Vescovo il 4 aprile 1976;

Assistente Generale dell’ACI dal 1978 al 1982.

Nel 1982 Giovanni Paolo II lo nominò Vescovo di Nola, dove rimase per sette anni, fino alla sua promozione ad Arcivescovo Metropolita di Siracusa il 7 dicembre 1989.

Già Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana è stato anche Vicepresidente del Convegno Nazionale delle Chiese d’Italia a Palermo.

Attualmente è Vicepresidente della Conferenza Episcopale Siciliana.

Mons. Costanzo ha realizzato il completamento della costruzione del Santuario della Madonna delle Lacrime, consacrato da Papa Giovanni Paolo II il 6 novembre del 1994.

Ha incoraggiato la devozione alla Madonna delle Lacrime ed ha indetto, nel 2003, un “Anno mariano” in occasione del 50° anniversario della lacrimazione della Madonna a Siracusa.

Ha promosso il culto a Santa Lucia, Patrona di Siracusa.

Nel 2004 ha indetto un “Anno luciano” in occasione del 1700° anniversario del martirio di Santa Lucia.

In questo stesso anno ha chiesto ed ottenuto dal Patriarca di Venezia la concessione del corpo di Santa Lucia per alcuni giorni in occasione della festa di dicembre. Nel 2005, in occasione del suo 50° giubileo sacerdotale, ha indetto, unitamente all’ “Anno Eucaristico”, un “Anno vocazionale”.

Molto apprezzata e partecipata è la “Scuola della Parola”, che l'Arcivescovo ha proposto per anni a tutti i fedeli.

Ha indetto anche un "Anno Paolino" nel 2006. Lascia la guida pastorale della diocesi per raggiunti limiti di età. Mons. Giuseppe Costanzo è l'87° vescovo di Siracusa.

 Il 12 settembre 2008 gli succede Mons. Salvatore Pappalardo, attuale Arcivescovo di Siracusa.

(Nota della Redazione: Informazioni reperite da Wikipedia, l'enciclopedia libera)



La terza età rappresenta il declino dell'uomo?

La "terza età" rappresenta da sempre un tema avvertito con una punta di angoscia. La società odierna sembra indirizzata alla ricerca del mito dell'eterna giovinezza. Evita persino i termini "anziano", "vecchio", "vecchiaia"; preferisce parlare di "terza età".

Osserviamo la natura e lasciamoci ammaestrare. Essa sicuramente ci insegna a leggere anche le diverse fasi della nostra esistenza.

"Dopo l'esplosione di vita della primavera, la maturazione e la fecondità dell'estate, giungono, la dolce quiete e i caldi colori dell'autunno, premessa di un inverno che nasconde nella terra i semi della vita nuova. Ogni stagione, nella provvidenziale opera di Dio, ha una funzione insostituibile nell'armonia del creato; così nella vita dell'uomo ogni età ha una sua preziosità e ricchezza, anche se non scevra di difficoltà e sofferenze. Spetta a noi il compito di scoprirla e di valorizzarla alla luce della fede" (Rita De Castro).

Molte cose all'improvviso ci ricordano che il tempo passa e che stiamo invecchiando. Ciò fa parte dell'evoluzione naturale della vita umana, ma non sempre ci troviamo pronti ad accettare serenamente questo processo inevitabile, sia sul piano fisico sia su quello spirituale.

Che cosa succede in noi e come dobbiamo affrontare queste nuove situazioni esistenziali?

I primi mutamenti che notiamo sono quelli fisici.

Viene meno una certa vitalità, diminuiscono le energie, compaiono spesso piccoli malanni e disturbi, pur senz'essere legati ad una malattia, ci si affatica prima, i movimenti sono più impacciati, perché si è persa una certa agilità e scioltezza. Anche la memoria comincia a fare brutti scherzi, ci sono dei momenti in cui sfuggono nomi e date; l'attenzione è più labile, dopo un po' di tempo ci si accorge che manca la concentrazione.

E' lo sfacelo della vecchiaia, che un sapiente dell' A.T. - il Qoèlet - aveva descritto in una pagina vera ma terribile, come lo sgretolarsi di un castello (c.12).

Il poeta latino Terenzio affermava che "la vecchiaia è di per sé già una malattia". E il poeta greco Euripide:" O vecchiaia, ognuno vuole a te arrivare, ma, quando ti ha provato, si pente".

A livello psichico si nota la tendenza a lamentarsi dei propri malanni, del tempo in cui si vive, dei giovani divenuti incomprensibili … ci si accorge con sofferenza di essere un peso, di non essere più accolti, anzi di essere respinti e umiliati.

Dobbiamo trovare in noi le motivazioni per vivere in pienezza e valorizzare questo nuovo periodo della vita, scoprendone tutte le ricchezze e le potenzialità.

Il tempo è un dono di Dio e tale lo dobbiamo considerare in ogni età.

Non possiamo fermare lo scorrere ineluttabile dei giorni, degli anni e le trasformazioni ad esso connesse. Spetta a noi invece prendere coscienza e prepararci a vivere - o vivere se ci siamo già giunti - la nuova stagione.

Prepararsi significa guardare serenamente al futuro, vivere il momento presente non subendo gli inevitabili cambiamenti con passività o con angoscia, ma dando lode quotidianamente a Dio, trascorrere in letizia ogni nuovo giorno, valorizzando quanto possediamo di forze fisiche e di risorse della mente e del cuore.

Certo, nell'età giovanile, o anche nell'età matura, prevalgono i momenti della gioia, dell'operosità, dell'amicizia, della prosperità, e questi li accogliamo più volentieri come un dono o forse siamo tentati di considerali come un frutto della nostra efficienza, nella vecchiaia invece vengono i momenti dell'inerzia, della malattia, della solitudine, della sofferenza: questi non ci sembrano un dono, ma intervalli strani e oscuri della vita, da abbreviare il più possibile e da dimenticare al più presto.

E quando non si riesce a cancellarli, ce li portiamo dentro come un peso che ci inquieta, ci amareggia, ci toglie il gusto di vivere.    

Com'è possibile dare un senso anche a questi momenti? Qui ci viene incontro il messaggio che ci viene dalle Sacre Scritture. "La vita - scrive il Card. Martini - non va colta solo sul versante delle sue circostanze esteriori. Queste sono varie, alterne, oscillanti tra gioia e dolore. Non possono offrirci un senso definitivo. Possono solo orientarci oltre se stesse e oltre noi stessi verso il mistero da cui noi riceviamo la vita. Il mistero si è dato un volto e un nome in Gesù; si è rivelato come il Padre che chiama tutti i suoi figli alla gioia di una profonda comunione di vita e di amore".

Nell'amore non c'è costrizione: per questo l'uomo è libero di dire di no a Dio, separandosi dalla sua vita e dalla sua gioia, finendo nella solitudine, nell'incomunicabilità, nella morte.

Nell'amore non c'è stanchezza o risentimento: per questo Dio non ha abbandonato a se stesso l'uomo peccatore, ma ha fatto di tutto per richiamarlo a sé, riaprendo sempre il dialogo del perdono e della speranza.

Nell'amore non c'è paura: per questo nella vicenda storica di Gesù, Dio ha avuto il coraggio di non far valere le prerogative divine dell'onnipotenza e della maestà; ha corso il rischio di non sembrare Dio, pur di rivelarci la sua vera prerogativa, che è l'amore; ha preso su di sé il nostro peccato, il nostro dolore e la nostra morte, per vincerli con la potenza dell'amore.

"Gesù, che vive alla presenza del Padre, mentre rivela il vero volto di Dio, rivela anche noi a noi stessi, ci insegna il vero senso della vita, ci fa capire che la vita è sempre un dono: le gioie che adornano  l'esistenza terrena, vanno accolte come un segno della gioia definitiva che Dio prepara nella sua eterna dimora; le sofferenze, se, da un lato, denunciano la separazione dell'uomo da Dio, dall'altro, nella luce della Croce di Cristo, possono venire trasformate dall'amore, possono diventare una strada di purificazione e di maturazione spirituale, possono essere viste come una chiamata a condividere il dolore innocente e redentore di Gesù" ( "Le età della vita" p. 194 sg ).

Abbiamo dunque segnalato anzitutto il limite che la terza età comporta: l'organismo si affievolisce, la mente si appanna, la debolezza introduce la malattia, il senso della fine incombe. C'è, però, una ricchezza di esperienza che va pure evidenziata.

Scrive Rita De Castro: " Nel crepuscolo della vita, gioie e dolori acquistano una colorazione più sfumata, perché ormai si è imparato a leggere e dominare i propri sentimenti, ad orientarli positivamente vedendo tutto nella luce vera di Dio".

Le passioni sono meno violente, più facili da controllare, si può guardare con un senso di quiete al futuro, senza andare con il ricordo agli errori del passato. Questo, ovviamente, non vuol dire allentare il controllo, ma le pulsioni interne, che non mancheranno, non ci troveranno impreparati.

Quando si raggiunge l'età matura, si porta con sé un bagaglio di esperienze vissute e spesso anche sofferte, che però rappresentano un patrimonio sempre attuale, da offrire come dono a chi il Signore ci pone accanto. La Bibbia ci dice come l'uomo nella sua vecchiaia consegue una maggiore saggezza e nella maturità di vita acquista nella società, considerazione, stima e rispetto, sì da renderlo ancora in grado di offrire il prezioso contributo della sua esperienza:

 " Il giusto fiorirà come palma, / crescerà come cedro del Libano;/
piantati nella casa del Signore, / fioriranno negli atri del nostro Dio. /
 Nella vecchiaia daranno ancora frutti, / saranno vegeti e rigogliosi,/
per annunziare quanto è retto il Signore:/
 mia roccia, in Lui non c'è ingiustizia" /  (Sal 92 (91) 13-16).

La vicenda di un vecchio dimenticato - qual è quella del Salmo - si trasforma in una fiaccola di speranza. Essa diventa un'educazione al vivere con forza, anche in mezzo alle prove, e al morire con serenità e attesa perché - come scriveva il poeta indiano Tagore - "la morte, come la nascita, fa parte della vita". E l'una e l'altra sono santificate dalla fede e dalla vicinanza divina.

Giovanni Paolo II, nella sua lettera agli anziani, ripercorre alcune pagine della Scrittura e richiama la rilevanza che nella tradizione biblica assumono personalità quali:

  • Abramo, che è già avanti negli anni quando Dio gli dice:

" Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno, maledirò ed in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen. 12, 23);

  • Sara, che diventa madre quando ormai il suo corpo è sfiorito;
  •  Mosè, che viene chiamato dal Signore solo nella vecchiaia a compiti umanamente impensabili, ma non impossibili alla potenza di Dio.

A questi uomini e donne Dio chiede solo la fede, l'abbandono fiducioso, la piena disponibilità.

Anche Zaccaria ed Elisabetta sono vecchi, non più in grado di generare, eppure dal loro figlio, benedetto da Dio, Gesù dirà:" Io vi dico, tra i nati di donna, non c'è nessuno più grande di Giovanni" (Lc. 7,28).

L'età avanzata - scrive Giovanni Paolo II - trova, anzi, nella Parola di Dio una grande considerazione, al punto che la longevità è vista come segno della benevolenza divina" (cfr Gn. 11, 10 - 32).

C'è tutta una schiera di personaggi avanti negli anni, che ha avuto un ruolo significativo nei Vangeli; tra queste figure ne spiccano due:

  • il vecchio Simeone, che sa attendere con fiduciosa speranza l'avvento del Messia;
  • e la profetessa Anna, che dedica tutta la sua vita al servizio del tempio ed ha il dono di riconoscere il Salvatore. Esempi meravigliosi di come la fede, la speranza e la dedizione al Signore possono riempire e rendere feconda un'esistenza ormai alle soglie della morte.

L'anziano - nella Bibbia - è sempre un maestro di fede: "Quello che abbiamo udito e appreso, quello che ci narrarono i nostri padri non terremo nascosto ai nostri figli, bensì sempre narreremo alla generazione futura le lodi del Signore e la sua potenza e le meraviglie che ha compiuto" (Sal 78, 3-4).

L'anziano è anche la radice dell'autentica Sapienza: "Quanto si addice il giudicare ai capelli bianchi e agli anziani il saper dare consigli! Quanto si addice la sapienza agli anziani, il discernimento e il consiglio alle persone onorate! Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, loro vanto è temere il Signore ". (Sir 25, 4-6).

L'anziano può essere un maestro di vita: il bagaglio acquisito nell'esperienza del passato può essere una preziosa chiave di lettura per l'oggi.

Anche l'anziano, però, deve vigilare sui limiti che possono accompagnare questa stagione della vita. Infatti lo sguardo rivolto al passato può diventare facilmente conservatorismo ottuso, velleità nostalgica, pedanteria … Il vecchio può giungere a forme esasperate di orgoglio quando trasforma la sua esperienza in infallibilità. E' il caso - ricordate? - della tormentata vecchiaia di Saul, la cui violenza diventa incubo, intolleranza e follia (1 Sam 16,14), o quella degli orgogliosi spettatori della scena dell'adultera (Gv 8, 1-14)), che "incominciando dai più vecchi" dimostrano la reale miseria nascosta dietro la superba facciata del loro perbenismo.

Quando giunge l'ora di metterci da parte - riconoscendo i nostri limiti fisici o psichici - dobbiamo avere il coraggio di farlo, altrimenti rischiamo di diventare un impaccio, talvolta persino un ostacolo alla presenza e all'operosità di altri che farebbero meglio di noi. E questo, senza fare drammi, e senza atteggiarci a vittime. C'è più tempo per pregare e per studiare, per ascoltare e consigliare, per sostenere e consolare i più giovani.

Lo scrittore Giovanni Arpino (morto nel 1987) affermava:

" Niente è più umano dell'invecchiare, niente è più naturale. Bisogna, però, saperlo, accettarlo, sorreggerlo senza cadere in giovanilismi sciocchi e pericolosi, senza pretendere di truccare le carte del gioco, senza fingere in positivo o in negativo".

Può darsi che - dopo una vita di impegni molteplici e di lavoro assorbente - il Signore ci chiede di "far nulla". E' quello il momento di chiudere con la frenesia del fare, per metterci in ascolto di Lui, per conversare con il Padre, per cogliere nella nostra interiorità la voce dello Spirito. E' un'obbedienza che comporta una grande umiliazione, un annientamento del nostro "io" sempre alla ricerca di considerazione da parte degli uomini, per la nostra operosità nei diversi settori della vita (nella società civile, nella comunità ecclesiale, nella politica).

Giunti al termine della nostra esistenza, diremo anche noi, con il vecchio orante del Sal 71: "Nella vecchiaia e nella canizie non abbandonarmi, o Dio, perché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie" (v.18).

Sarà questo il nostro testamento più vero e più bello.

E intanto affidiamo alla Madonna il cammino di questo tempo crepuscolare e a lei, nostra Madre, diciamo con fiducia:" Prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte".

Infine, non dimentichiamo ciò che diceva Madre Teresa di Calcutta:

"Il passato appartiene alla misericordia di Dio;
il futuro appartiene alla provvidenza di Dio;
il presente appartiene all'amore di Dio".

 

                                       Mons. Giuseppe Costanzo
                            Vescovo Emerito della Diocesi di Siracusa

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Augusta - 19 - aprile - 2012



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