STORIE E RICORDI D’AFRICA: “LADY BE GOOD”
“Lady Be Good” è il titolo di un musical di grande successo, presentato a Broadway nel 1924, ancora in voga negli USA negli anni della 2° Guerra mondiale. Sicuramente chi ha la mia età ne ricorda il motivo portante, a ritmo di jazz, canticchiato un po’ da tutti in quegli anni lontani, anche in Europa. Per questo motivo è anche il nome che fu scelto e dipinto dal suo equipaggio, com’è consuetudine nell’Aviazione degli Stati Uniti, sulla fusoliera di un aereo da bombardamento Liberator B-24s, giunto il 25 marzo del 1943 da Topeka, Kansas, all’aeroporto di Benina (oggi Soluch International Airport), nei pressi di Bengasi, nella Cirenaica occupata dagli Alleati, ed immediatamente integrato nel 514° Squadrone, 376° Gruppo da bombardamento pesante.
Un equipaggio di nove uomini, anch’esso appena arrivato dagli Stati Uniti qualche giorno prima, il 18 marzo, fu assegnato a quell’aereo: quegli uomini erano abbastanza anziani per lo standard di quei tempi e tuttavia, addestrati in tutta fretta per sopperire alle pressanti richieste dei vari fronti di guerra, non avevano alcuna esperienza né di combattimento, né di volo. Insieme, aereo ed equipaggio, furono destinati alla loro prima missione di bombardamento notturno sul porto di Napoli nel tardo pomeriggio del 4 aprile del 1943. Il Lady Be Good, insieme ad altri 13 Liberator, che costituivano la seconda ondata della missione, decollò dal campo d’aviazione di Benina mentre infuriava una violenta tempesta di sabbia, si diresse sul Mediterraneo e svanì nel nulla: questa è la sua storia e quella del suo sfortunato equipaggio.
Subito dopo il decollo, forti venti e l’incombente oscurità impedirono al velivolo di riunirsi alla formazione degli altri 13 bombardieri e pertanto il pilota, Tenente Lt.Hatton, decise di proseguire comunque da solo. La missione fu sostanzialmente un fallimento poiché nove aerei, poco dopo il decollo, furono costretti a ritornare alla base di partenza per noie ai motori causate dalla tempesta di sabbia, mentre gli altri quattro, giunti su Napoli alle 17.50, non poterono colpire gli obiettivi loro assegnati a causa della mancanza di visibilità, scaricarono le loro bombe in mare per alleggerirsi e ridurre in tal modo il consumo di carburante, e fecero ritorno alla loro base in Libia. Anche il Lady Be Good , nel suo volo solitario, poco prima di giungere su Napoli invertì la rotta per la scarsa visibilità e, forse, per qualche problema ai motori. Poco dopo la mezzanotte, comunque, il pilota avvertì la base di Benina che il suo navigatore automatico era fuori servizio e chiese assistenza per il volo di rientro: gli furono comunicate le coordinate della base ma non si è mai appurato se il messaggio sia stato correttamente ricevuto a bordo dell’aereo: furono pure lanciati dei razzi illuminanti per facilitare al pilota la localizzazione del campo d’atterraggio.
Dopo qualche ora di inutile attesa fu inviata dalla base aerea una missione di ricerca e di soccorso sul Mediterraneo che, però, non riuscì a localizzare né l’aereo né il suo equipaggio. Essi furono dati per dispersi e di loro, per quasi16 anni, non si seppe più nulla.
Nel 1958 iniziano in Libia le ricerche petrolifere da parte di numerose Compagnie Anglo-Americane, ed io ricordo bene lo scalpore destato nel mese di maggio di quell’anno dalla notizia, appena giunta a Tripoli, che un aereo della D’Arcy Oil Company aveva casualmente avvistato il relitto di un aereo non identificato in una spianata sassosa ai margini del Mare di sabbie mobili del Calanshiò, a circa 700 chilometri a sud di Benina. Le autorità militari americane della base aerea di Wheelus, nei pressi di Tripoli, ne vennero immediatamente informate senza che, però, venisse effettuato alcun tentativo per raggiungere il relitto.
Finalmente un anno dopo, il 26 maggio del 1959, una squadra di recupero inviata dalla base aerea Wheelus giunse sul posto dove si trovava il rottame dell’aereo, identificandolo come quello del B-29 Lady Be Good scomparso oltre 15 anni prima.
Il velivolo, benché spezzato in due tronconi, era apparentemente intatto: le armi e la radio di bordo funzionavano perfettamente, all’interno vennero ritrovati viveri ed acqua in abbondanza, e perfino un thermos pieno di tè, ma non vi era alcuna traccia dell’equipaggio e mancavano i paracadute ed i giubbotti di salvataggio.
Solo il ritrovamento nei mesi successivi dei corpi mummificati degli aviatori, dei loro effetti personali e del diario tenuto dal 2° Pilota Robert Toner per otto giorni, dal 5 al 12 aprile 1943, consentì infine di ricostruire i tragici avvenimenti di quella notte e dei giorni successivi. Dopo il segnale di soccorso lanciato alla base di Benina, il Pilota aveva continuato a volare per altre due ore fin quando, alle 02.00 di notte, ormai esauritosi il carburante, tre dei quattro motori, uno dopo l’altro, si erano fermati. L’equipaggio, allora, convinto di trovarsi ancora sul Mediterraneo, si era lanciato col paracadute portando con sé soltanto i salvagente e abbandonando l’aereo al suo destino. Il velivolo, lasciato a sé stesso, aveva continuato il suo volo con un solo motore ancora in moto, planando lentamente per altri 16 chilometri prima di atterrare, pressoché intatto, nel Deserto della Libia.
Resisi finalmente conto di trovarsi sulla terraferma, otto degli uomini, appena giunti a terra col paracadute, si riunirono chiamandosi nel buio e cercando inutilmente il nono membro dell’equipaggio, morto subito dopo l’abbandono del velivolo per la mancata apertura del suo paracadute. Perse le speranze di ritrovare il loro compagno e convinti di trovarsi vicino alla costa del Mediterraneo, i superstiti avevano iniziato il loro cammino verso Nord: avevano con sé solo una borraccia d’acqua e pochi generi di sopravvivenza. Il diario tenuto in quegli otto giorni dal 2° Pilota, ne descrive con terribile crudezza il loro coraggio, le loro sofferenze e la loro disperata ricerca della salvezza. Marciarono giorno e notte, percorrendo oltre 160 chilometri di deserto, dove si raggiunge la spaventosa temperatura di 55°C a mezzogiorno per poi scendere di notte sottozero, senza alcuna possibilità di riparo. I primi cinque, troppo stanchi ormai per poter proseguire, si fermarono aspettando insieme la morte, avvenuta per disidratazione, dopo aver percorso 130 chilometri in condizioni terribili. Gli altri tre, con la forza della disperazione, avevano continuato il cammino in cerca d’aiuto per altri 27 chilometri quando, uno alla volta, due di essi erano morti a qualche chilometro di distanza l’uno dall’altro. L’ultimo di essi deve aver proseguito ancora nel suo disperato tentativo di salvarsi, ma il suo corpo non è stato più ritrovato.
Le cause del disastro furono allora attribuite all’inesperienza dell’equipaggio alla sua prima missione notturna di guerra, ai forti venti di coda che avevano spinto il velivolo all’interno del deserto libico per ben 700 chilometri senza che i piloti se ne rendessero conto, ed agli errori di valutazione dell’equipaggio che, se dopo la discesa nel deserto si fosse diretto a Sud anziché a Nord, avrebbe potuto ritrovare a poca distanza il relitto dell’aereo che con la sua riserva di viveri e d’acqua avrebbe concesso a quegli uomini sventurati una lunga sopravvivenza, e con la radio, perfettamente funzionante ancora dopo quindici anni, avrebbe consentito loro di chiedere e di dirigere le operazioni di soccorso.
La conclusione di questa tragica vicenda, chiusa nel 1960 con il recupero degli ultimi reperti dello sfortunato Lady Be Good, commosse vivamente la comunità internazionale allora residente in Libia, ed ha ispirato nel corso degli anni almeno due romanzi ed alcuni film, tra i quali Il volo della Fenice più volte trasmesso dalla RAI.

Ugo Passanisi


Commenti 

 
#4 Presidente 2011-02-19 20:29
Tania ha detto...

Ho letto con piacere questo episodio di guerra così ben rievocato.Mi ha fatto ricordare con orgoglio mio padre, sottufficiale di Marina, che la guerra l'ha vissuta in prima persona ricevendo anche una croce al valore per aver salvato la sua nave e relativo equipaggio. Un grazie al sig. Passanisi che con il suo racconto me lo ha fatto ricordare con tanto affetto.
Tania Tudisco
24 gennaio 2011 13:27
 
 
#3 Presidente 2011-02-19 20:28
Giuseppa ha detto...

Sono davvero e sinceramente colpita: conoscere una persona di così alta cultura e di così raffinata gentilezza, un uomo che ha vissuto così tragiche e importanti esperienze, mi riempie di orgoglio. Ma si sa, dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna, perciò mi sento di rivolgere i miei complimenti anche a te signora Gina.
Pina Daniele.
23 gennaio 2011 02:43
 
 
#2 Presidente 2011-02-19 20:28
Ugo ha detto...

questa drammatica vicenda, pur con l'umana pietà dovuta a questi aviatori, caduti per adempiere al loro dovere, mi ha fatto pensare a quelle migliaia di combattenti che, sul mar Mediterraneo, nel deserto della Libia, nelle steppe della Russia, sono stati dati per dispersi senza che sulle loro tombe sia possibile deporre un fiore, una croce, un cippo o un qualsiasi altro simbolo che ricordi il loro sacrificio.Un destino ben più crudele di quello dei nove (otto) aviatori del Lady Be Good.
22 gennaio 2011 09:29
 
 
#1 Presidente 2011-02-19 20:27
Ugo ha detto...

ho scritto questo racconto con il solo intento di rievocare un episodio che mi ha colpito cinquant'anni fa per la sua tragica conclusione.
22 gennaio 2011 09:23
 

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