caramagno_pasqua_2016

Il 15 dicembre c.a., terza domenica di Avvento in preparazione della celebrazione del Natale cristiano, fui particolarmente colpito dalla lettura della prima parte del Vangelo del giorno che trascrivo:

“In quel tempo, Giovanni che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Anda­te e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi cammina­no, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i mor­ti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!»…………(dal Vangelo secondo Matteo)

Le superiori parole di Gesù Cristo attestanti alcune sue opere compiute, oltre duemila anni addietro, mi suggerirono gli auguri da porgere agli amici e soci della nostra associazione, in occasione della consueta cena natalizia e che con piacere trascrivo:

“Quale augurio formulo di cuore a ciascuno di voi presenti unitamente ai miei e vostri familiari, a me stesso, nonché ai soci assenti per motivi diversi e specialmente agli assenti per motivi di salute?

Che, qualora già non l’avessimo, potessimo acquisire la consapevolezza che ancora oggi, Gesù Cristo, figlio di Dio, autore e datore del nostro spirito, può guarirci dalle nostre malattie, specialmente da quelle di origine psicosomatica, congiuntamente alle cure e all’accompagnamento dei necessari professionisti, della farmacologia e unitamente all’affetto e vicinanza dei familiari e amici!

Tale augurio scaturisce dalla mia fede cristiana e conseguente profonda convinzione dell’essere l’uomo un unicum composto di corpo, psiche e spirito o anima.

Aggiungo un augurio di pace, serenità e salute individuale e sociale per il nuovo anno 2020.”

In questa sede, per gli attenti soci lettori e per quanti hanno il piacere di leggerci nel web, al fine di essere diffusori del nostro valore fondante “Umanità”, in quanto pertinente con i contenuti dell’augurio espresso, allego uno scritto di Paolo Curtaz, tratto dalla sua pubblicazione “Gesù Guarisce” - paragrafo “Attenti ai miracoli” -

L’autore dopo avere richiamato il passo evangelico di Gesù che guarisce dieci lebbrosi e dei quali solamente uno torna a ringraziarlo così scrive.

«Gesù non ama molto i miracoli.

Il rischio è quello di essere confuso con una specie di "medicone", un venditore di fumo. E di compromettere l'obiettivo della sua evangelizzazio­ne: l'annuncio del Regno.

Se il miracolo diventa un segno e una manifestazione del­la sua presenza, l'inizio del tempo messianico, allora biso­gna cercare anzitutto questo ed ogni altra cosa ci sarà data in sovrappiù (Mt 6,33).

Molti fra noi pensano alla guarigione come alla soluzione dei propri problemi. Ciò è vero, ovviamente, ma solo fino a un certo punto. A volte nemmeno la guarigione ci salva.

Il vangelo ci obbliga a chiederci se l'origine del nostro dolore, della nostra insoddisfazione sia veramente quella che pensiamo. Sarebbe oltremodo imbarazzante desiderare con tutte le nostre forze un miracolo, salvo poi scoprire di esse­re ancora infelici una volta guariti...

Emblematico, da questo punto di vista, è il miracolo del­la guarigione dei dieci lebbrosi in Luca:

……..E mentre quelli andavano, furono guariti. Uno di loro, appena vide di essere guarito, tornò indietro glorificando Dio a gran voce e si gettò bocco­ni per terra ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un sama­ritano. Gesù allora disse: «Non sono stati guariti tutti e die­ci? Dove sono gli altri nove? Non è ritornato nessun altro a ringraziare Dio all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va': la tua fede ti ha salvato» (Lc 17,11-19).

La lebbra, lo sappiamo bene, è una malattia sociale prima che fisica. Essere lebbrosi significava diventare dei morti viventi, costretti ad abitare fuori dei centri abitati e a segna­lare il proprio arrivo gridando a gran voce.

Nessun contatto fisico, nessun abbraccio, nessun lavoro era destinato al lebbroso: solo la miseria e la consapevolez­za di essere stato duramente punito da Dio a causa dei pro­pri peccati.

Dieci lebbrosi sanno della presenza di Gesù: uno fra loro è un samaritano. La malattia accomuna, azzera le differenze etniche, rimette tutti sullo stesso piano.

Chiedono a Gesù pietà, e Gesù, in maniera forse inattesa, ordina loro di presentarsi ai sacerdoti. Non avviene nessun prodigio istantaneo, nessun miracolo eclatante: nulla.

Devono presentarsi ai sacerdoti che, all'epoca, funge­vano da ufficiali sanitari. Potevano constatare l'avvenuta guarigione e decretare il reintegro nella vita sociale del ma­lato.

Gesù chiede loro un gesto di fede: andare ad attestare il radicale cambiamento prima che esso sia avvenuto.

I lebbrosi sono perplessi ma obbediscono e si recano al tempio. E mentre camminano si accorgono della loro gua­rigione.

Solo se camminiamo, solo se ci mettiamo in strada, solo se diventiamo discepoli possiamo cambiare Così accade.

Ma il samaritano non ha un tempio dove andare a ringra­ziare. E nessun sacerdote che certifichi l'avvenuta guarigio­ne. Il tempio dei samaritani, costruito sul monte Garizim per sfidare gli ebrei, è stato bruciato da Israele e quello di Ge­rusalemme per lui è off limits.

Va all'unico tempio che conosce, all'unico sacerdote: Gesù.

Loda Dio a gran voce, si prostra, è pieno di gioia interiore. Gesù, invece, è profondamente amareggiato: e gli altri?

E più semplice guarire dalla lebbra che dall'indiffe­renza...

E Gesù commenta, turbato: dieci sono stati sanati, uno solo è stato salvato.

Ha ragione: possiamo essere guariti ma non salvati. Re­cuperare la salute scordando la salvezza.

Questo è il punto centrale da analizzare con attenzione.

Spesso si dice: basta la salute.

Vero. Dio solo sa quanto sia importante vivere in salute!

Ma non è vero che basta la salute, a noi serve molto di più. Abbiamo bisogno della salvezza. Abbiamo bisogno del­la felicità intera, non solo di quella fisica.

Conosco ragazzi che scoppiano di salute sballarsi e rovi­narsi la vita riempiendosi di alcool e di droga, e altri, disa­bili, combattere come dei leoni e vivere con relativa sereni­tà la propria vita.

Gesù è venuto a donarci la vita eterna, cioè la vita del­l'Eterno, non solo la vita fisica e biologica.

Questa è la novità della guarigione operata da Gesù: non è un medico eccezionale che ci restituisce il benessere. È il Dio che ci restituisce alla pienezza della vita.»

Pippo Caramagno

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